Martina, seduta in cucina, piangeva mentre mangiava acini d’uva bianca. Aveva la pancia così gonfia che credevo le sarebbe scoppiata. Occhi grandi e naso all’insù la facevano uguale a mamma. Zia Betta, in piedi vicino alle scale, teneva in braccio il piccolo Leo e cantava a bassa voce una ninna nanna, tentando di addormentarlo. Porte e finestre erano chiuse mentre dalle fessure dei balconi entravano piccoli, intensi raggi di sole. Rimanevo sempre stregato dal fluttuare confuso di quelle particelle di polvere, sembravano vivere solo all’interno di ogni minuscolo fascio di luce.
Avevamo chiuso tutto appena in tempo, prima che iniziasse la fine del mondo. Ci avevano avvertito immediatamente.
«Ne hanno ammazzati cinque e poi sono scappati verso le montagne. Non li prenderanno mai e così la faranno pagare a noi».
Fuori si sentivano un gran trambusto, rumori di macchine, camion e urla, tante urla. All’improvviso un colpo forte, un botto secco. La porta si spalancò, sbattendo contro il muro. La cucina venne inondata di luce, proiettando l’ombra di un uomo sul pavimento. Sembrava altissimo, enorme, gigantesco…
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