Vacua orbita è la mia terza silloge poetica e presenta caratteristiche comuni sia alla prima, sia alla seconda. In particolare, il discorso sulla vita e la morte, tratteggiato in forma acerba già in Cuore di fuoco e affrontato in modo più consapevole in Braci, assume, in questa silloge, il ruolo dominante, dal momento che le mie riflessioni, vuoi per motivi anagrafici, vuoi per gli eventi storico-sociali che hanno caratterizzato il periodo in cui l’opera è stata scritta, hanno frequentato spesso la dimensione tanatologica, talvolta insieme a quella escatologica. Vacua orbita può essere considerata una raccolta di “epifanie”, che io ho fissato in versi liberi sul momento, prima della loro dissoluzione, e in una forma già pressoché definitiva. Tuttavia, nella stesura iniziale, mi è capitato talvolta di intravvedere l’embrione di un componimento metrico che aveva solo bisogno di essere sviluppato, impresa davanti alla quale non ho mai esitato e che mi è risultata anzi sempre piuttosto stimolante. La struttura dell’opera ricalca le fasi di un viaggio “epico” nell’intimo, legato inestricabilmente al concetto tanatologico-esistenziale del titolo, che può essere letto tanto in latino, quanto in italiano, e sia con il significato di tragitto vano e ripetitivo, sia come rappresentazione simbolica delle misere spoglie mortali.
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