Il presente lavoro ha come oggetto lo studio di diversi testi prevalentemente di natura antropologica ma anche storica e sociologica che permettono di approfondire la conoscenza dei gruppi rom e sinti, con particolare riferimento alle rappresentazioni, alle autorappresentazioni e a tutti quegli elementi la cui conoscenza può essere utile per l'instaurazione di relazioni di servizio sociale consapevoli. Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire questa tematica risalgono a due diverse esperienze. La prima è quella realizzata nel corso del tirocinio professionale, svolto presso l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Catania, in cui ho avuto modo di assistere alla relazione d'aiuto instaurata dalla mia tutor aziendale nei confronti di un detenuto rom. Quello che mi ha colpito particolarmente è stato il fatto che l'utente si approcciava in maniera tendenzialmente diversa all'assistente sociale, ad esempio perché maggiormente attento alla dimensione “umana” della relazione rispetto a quella formale-burocratica e perché poneva la famiglia e le sue vicende al centro di ogni discorso e richiesta, in maniera molto più marcata rispetto agli altri. L'assistente sociale si è trovata fra l'altro ad incontrare i familiari in contesti che seppur inseriti nel territorio catanese presentano caratteristiche singolari, si trattava in particolare del campo di San Giuseppe La Rena, una delle “baraccopoli” presenti sul territorio di cui ogni tanto i media mettono in risalto le negative condizioni igienico-sanitarie presenti ed il continuo rischio di incendi (talvolta già verificatisi). Ho riflettuto però sul fatto che a questa prorompente diversità non corrispondesse una preparazione specifica che permettesse di affrontare le situazioni in cui erano coinvolti rom e sinti. La mia tutor aziendale è riuscita grazie alle proprie competenze, all'impegno profuso e alla sua lunga esperienza nell'ambito del servizio sociale, ad instaurare un rapporto fiduciario e a farsi carico della situazione in maniera esemplare. Ma in mancanza di un'adeguata conoscenza di queste tipologie di utenza e di tutte quelle
informazioni che possono influenzare le relazioni professionali instaurate nei loro confronti, credo che sia elevato il pericolo di lasciarsi condizionare dagli stereotipi interiorizzati in quanto appartenenti alla “società maggioritaria” e di non tenere in considerazione il modo in cui loro ci percepiscono sia in quanto gagé (cioè non rom) che in quanto assistenti sociali. Nello stesso periodo, durante le lezioni di antropologia, è stata data l'opportunità agli studenti di scegliere di approfondire uno tra i diversi saggi proposti dalla professoressa Mara Benadusi. Colpita dal caso sopra citato cui mi stavo interessando durante il tirocinio, ho scelto di approfondire il saggio di Leonardo Piasere (2009b) in cui l'autore descriveva fra l'altro due ricerche etnografiche che aveva compiuto, una con i xoraxané romà e una con gli slovensko ròma. Un paragrafo in particolare ha colpito la mia attenzione: <> (Piasere 2009b, p. 81). Mi è sembrata una conferma di quello che stavo percependo tramite l’esperienza del tirocinio, ovvero il fatto che i rom siano solitamente molto più attenti agli aspetti pratici ed emotivi che a quelli formali delle relazioni, ai gesti e alla comunicazione non verbale che a quella verbale, e in generale del fatto che non ci si possa approcciare ai rom come a tutti coloro con i quali siamo stati abituati ad entrare in contatto. Di conseguenza il presente elaborato ha innanzitutto l'obiettivo di accrescere il patrimonio di conoscenze di cui si avvale l'assistente sociale nell’instaurare delle relazioni d'aiuto professionali adeguate alla singola persona, ricordando anche il
dovere di formazione continua affermato all'interno |