L'odierna concezione, meramente quantitativa e materiale, dell'economia è superabile se la si sostituisce con una qualitativa e formale, ossia politica, in grado di includere la dimensione quantitativa, ma trascendendola. Questo cambiamento ci aiuterà a intraprendere un percorso filosofico di confronto e di scelta tra due diversi paradigmi: da una parte, quello oggi dominante, fondato sul ruolo dei sistemi, delle leggi, della società, dell'ideologia, della tecnica e dell'alienazione; dall'altra, uno differente, incentrato sul valore degli organismi, dei principi, della comunità, della cultura, dell'arte e dell'identità. Per evitare di rimanere prigionieri del nostro paradigma “alternativo” e della sua contrapposizione a quello “ufficiale”, occorre non limitarsi al discorso sul mondo, ossia a immaginare come vorremmo andasse e a sperare che “la gente cambi la propria mentalità”, ma è necessario articolare una proposta concreta e costruttiva, pienamente politica, fondata sia su una critica delle attuali strutture nazionali e degli attuali progetti “sovranazionali”, sia sulla rivalutazione dell'ideale repubblicano per creare una nuova polis, partecipativa e solidale, una civitas fondata sulla condivisione di valori e in libera e creativa relazione con quelle comunità repubblicane che vorranno dar vita a una rete di relazioni aperta e leggera. Perché il discorso sul mondo non ha senso se non è costruzione di mondo.