Sedetevi in circolo, miei piccoli amici, e state attenti. Non fate baccano, non vi urtate, altrimenti io non racconto nulla. Sentite che pace, che silenzio, intorno per il giardino?
Mentre io racconto, odorate il profumo delle rose e dei gigli più alti di voi. Nei vostri occhi è un limpido splendore azzurro: è il riflesso del cielo, o la gioia per il promesso racconto?
Dunque, immaginiamoci che il fatto succeda in Cina, un paese un po’ lontano da qui, ma assai di moda. Cominciamo.
C’era una volta in Cina — in una città bianca vicina al mare, governata da un Mandarino che aveva gli occhi storti, un codino lungo come una serpe, e una veste di raso rosso a rose gialle, — una povera vedova. Il Mandarino si chiamava Sci-teu, la povera vedova Pan-a. Il marito negoziante aveva lasciato a Pan-a solo una pezza di tela e una croce di figlio, che tutti, a ragione, chiamavano lo scemo, benché il suo vero nome fosse Giaffà. Questo Giaffà era il più bel tipo di matto che si possa immaginare: ogni giorno ne faceva una, tanto che sua madre doveva usare grande pazienza per sopportarlo. Ella diceva, che vivevano nell’estrema miseria per colpa di Giaffà, il quale a vent’anni giocava ancora coi monelli delle vie. Con quel suo codino arruffato e le vesti sporche, sembrava un gatto arrabbiato...
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