EDIZIONE CON INDICE DIGITALE
Ciò che io verrò dicendo lungo queste pagine intorno all'automobile, al suo prodigioso sviluppo, al progresso meccanico da esso attuato, alle possibilità da esso dischiuse e all'avvenire a cui è chiamato, sembrerà una cosa naturale, una osservazione o una previsione che si fa da sè, una specie di après coup assai facile.
Meglio così. Vorrà dire che si tratta di verità accertate, e questo è il mio massimo compiacimento, perchè ciò che io desidero adesso di mostrare, ciò di cui voglio farmi vanto si è che io per primo e io solo in Italia, oltre undici anni or sono, quando in Italia l'automobile era sconosciuto, quando si esperimentava all'Arena di Milano, fra lo stupore di tutti i presenti una prima rudimentale bicicletta che camminava (o per meglio dire che non camminava) da sè, quando l'arrivo di una Benz era un avvenimento segnalato dai giornali, e a Parigi era ancora da costituirsi l'Automobile Club e non era ancora avvenuta alcuna corsa automobilistica, tempi preistorici omai, io, ripeto, primo e solo previdi e affermai allora quelle che adesso sembrano verità banali.
Ecco infatti ciò che io scriveva nella Gazzetta di Venezia del 5 ottobre 1905 sotto il titolo: Gli automobili:
«Davanti allo sviluppo straordinario del ciclismo, che per la sua rapidità pare più dovuto ad un maniaco entusiasmo che non ad un bisogno vero dell'ambiente venir fuori a dire che il regno della bicicletta appartiene solo al presente potrà sembrare infondata affermazione.
|