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De' fuggenti suoi vanni, amore e Cielo
Dalla mente e m'usciro, ed obliando
La mia patria celeste, il ben creato
Spirto inquinai, conversi al suol la fronte,
E nei bassi diletti, e nelle umane
Voluttà mi sommersi, e tal divenni
Qual mi vedete. — Il Cherubin si tacque,
E le ciglia inchinò per la vergogna
Dell'antico suo fallo: una vergogna
Che se pur nelle angeliche sembianze
Orma non fosse dell'etereo lume,
Tacitamente palesar potrìa
Di che loco sublime egli cadesse.
L'ultimo amaro sentimento è questo
D'una gloria sprecata, e che, fuggita
La virtù, nella vuota alma rimane
A provar che l'accese il sacro fuoco.
Mentre lo spirto favellava, un solo
Breve sguardo rivolse a quel felice
Tabernacolo d'oro, ove per sempre
La vergine s'ascose; onde raccolto
Tutto in sè stesso, non levò palpèbra,
Come se da quell'astro un'infocata
Punta volasse a saettargli il core.
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