Cassio, che erano pretori, convocassero il Senato, usurpando i poteri di Antonio, chiamassero i cittadini alle armi, come ai tempi di Catilina, si impadronissero subito dello Stato: intanto restassero tutti sul Campidoglio, come un piccolo Senato, ad aspettare che si convocasse il vero. In che modo si divisero, nella discussione, i pareri? Noi non lo sappiamo; ma pare che Bruto e Cassio inclinassero al primo partito; e certo è che la proposta di Cicerone non fu accolta. Quegli uomini di guerra e di spada ebbero allora maggior paura che lo scrittore; non si fidarono che il popolo, o troppo amico di Cesare o troppo infingardo, si leverebbe al loro grido; temettero fors’anco che potesse levarsi contro loro; tutti si profusero in congratulazioni con gli uccisori, ma nessuno volle poi restare, per partecipare alla esecuzione del colpo di stato; si discusse a lungo, ma il tempo passava, le giornate di marzo non sono lunghe, e la sera si avvicinava; si conchiuse alla fine che, riuscita felicemente l’impresa di uccider Cesare, non era prudente guastarla con un nuovo ardimento che poteva fallire. Si deliberò quindi di avviar pratiche di pace con Antonio, di invitarlo a venir sul Campidoglio a discutere sulla convocazione del Senato e la restaurazione incruenta della repubblica, ma a quali condizioni, in che modo nessuno sapeva chiaramente, solo promettendo subito che nessuno onore concesso a lui da Cesare sarebbe tolto; si deliberò inoltre di preparare per il giorno dopo delle dimostrazioni popolari, per muovere a loro favore l’opinione pubblica; e si incaricarono delle trattative con Antonio parecchi senatori. Cicerone però non volle prendervi
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